Mi chiamo Dennis Monachesi e poco più di due anni fa, quando ero ancora minorenne, la scuola che attualmente ancora frequento, il Liceo Classico ‘Gioia’ di Piacenza, propose alcune attività extracurriculari. Venni attratto da ciò che la Pubblica Assistenza della mia città proponeva; un percorso di formazione che mi avrebbe consentito di salire in ambulanza come soccorritore. Ero estraneo al mondo sanitario e del soccorso e decisi di iniziare con parecchio entusiasmo questa avventura. Essendo minorenne e non potendo salire ancora ufficialmente in ambulanza, decisi di cominciare lo stesso a dare il mio contributo prestando inizialmente servizio in affiancamento nella Centrale Operativa, integrandomi bene nell’ambiente così come con gli altri volontari.
Arrivò finalmente il momento in cui anche io presi parte al tanto atteso corso aperto alla cittadinanza, per poter salire sia sui mezzi di emergenza che svolgere i trasporti secondari. Sfortunatamente le lezioni in presenza, dopo circa due mesi, vennero sospese a causa dello scoppio della pandemia. Terminammo quindi il percorso formativo online così come l’esame finale che superai brillantemente. Bisognava quindi solo aspettare il compimento dei diciotto anni per poter salire sui mezzi. Quando finalmente arrivò il momento del mio primo turno sull’ambulanza dei servizi ordinari, fu l’occasione per imparare tante cose e prendere un po’ dimestichezza con i vari presidi e strumenti presenti sul mezzo, ma anche per iniziare a capire come ci si può approcciare con i pazienti. Dopo circa una settimana, diedi la mia disponibilità a svolgere per la prima volta un turno sull’ambulanza dei servizi d’emergenza.
Quella volta arrivai in sede circa un’ora prima rispetto all’inizio del turno che normalmente è alle ore 14. Ebbi molti pensieri per la testa, in particolare riguardo allo scenario che mi si sarebbe presentato una volta raggiunto il luogo dell’intervento, ma anche ero preoccupato di non saper utilizzare un determinato presidio in una situazione critica. Tuttavia, come è giusto che sia, ero molto emozionato e felice di poter iniziare finalmente questa esperienza da me tanto attesa. I giorni passarono ed arrivando il periodo delle vacanze estive, svolsi molti turni che mi hanno permesso oltre che di formarmi “sul campo”, di affrontare varie situazioni in diversi contesti. L’acquisire esperienza è stata, come lo è anche ora, l’occasione per ridurre la paura e l’ansia, sensazioni che durante gli interventi non mancano, anche se ogni volta che squilla il telefono per la chiamata della Centrale Operativa del 118 di Parma, sale la tensione e l’adrenalina, ma sono sempre pronto a dare il meglio di me.
Durante qualche intervento ho dovuto “fare i conti” con una dose di emozione molto intensa. Mi ricordo in particolare di una signora che mi disse, una volta caricato in ambulanza il marito con una seria problematica respiratoria e quindi probabilmente contagiato dal Covid: “fate di tutto per salvarlo e portatemelo indietro perché è l’unica cosa che mi è rimasta”. Questa situazione è stata decisamente complicata da affrontare emotivamente e, mi permetto di dire, non sono momenti piacevoli per nessuno, ti trovi spiazzato, impreparato e senza parole per provare a dare conforto ad una persona. Non ti senti in grado e ovviamente non puoi fare promesse che la persona cara riuscirà a tornare a casa. Quello che mi ha fatto più riflettere è pensare come la signora abbia voluto rimarcare il grado di unicità che il marito rappresentava per lei rendendosi conto che quella poteva essere l’ultima volta che l’avrebbe visto.
Dalla mia breve esperienza di servizio posso dire di aver capito una cosa molto importante; mettendo a confronto il passato, quando essere felici o soddisfatti da bambini significasse per esempio ricevere il giocattolo desiderato o il consenso da parte di un genitore ad una determinata richiesta, con il presente ho scoperto che aiutare gli altri mi rende felice e in certe occasioni ricevere un semplice “grazie”, ti riempie di gioia il cuore ed è appagante ripaga più di ogni altra cosa. Questo messaggio lo rivolgo a tutti quei ragazzi, miei coetanei, ma anche a tanti adulti, che mi chiedono se non butto il mio tempo, dato che per il servizio che svolgo non vengo pagato. La mia risposta è sempre unica: le emozioni che si provano nel portare aiuto ad una persona in difficoltà e la consapevolezza nel sapere che hai dato il massimo valgono molto più’ del denaro.
Tutto quello che noi volontari facciamo può essere riassunto con una parola: ‘aiutare’. Questo è ciò che conta per noi, riuscire a svolgere al meglio il servizio che la nostra centrale di riferimento ci assegna e riuscire a far di tutto per garantire alle persone il nostro appoggio.